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Brescia, aspettando Godot... Il Perugia che ha messo il turbo, Castori e l'arte del "pianginismo"

di Marco Lombardi

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© foto di Federico Gaetano

Boscaglia sì, Boscaglia no, Boscaglia nì: a Brescia la convivenza ʿforzataʾ  fra il vulcanico patron Massimo Cellino e il mite tecnico Roberto Boscaglia ha assunto i contorni di un teatrino stucchevole. Feeling mai nato e panchina perennemente in bilico, appesa a un filo. Esilissimo. Quando è giunto a Brescia il presidentissimo ha trovato in eredità il mister di Gela. Che evidentemente non dev’essere nelle sue grazie. Non è dato sapere se per motivi squisitamente tecnico-tattici o meramente ʿepidermiciʾ. Ma tant’è. Fatto sta che questo prolungato tira e molla è logorante per entrambi e rischia di minare la serenità della squadra, impegnata ad affrancarsi dalle acque limacciose della zona rossa. Tutto sommato Boscaglia sta facendo benino, compatibilmente con un organico non trascendentale: ha in mano la squadra e gode del sostegno della tifoseria lombarda, ma deve fare i conti puntualmente con il malumore del patron. Che non perde occasione per bacchettarlo. Cellino, si sa, è umorale, e tentenna: tiene in caldo la carta Pulga, ma annusa i rischi e le incognite dell’ennesimo ribaltone. Nemmeno l’arrivo di Marroccu ha dipanato la matassa. L’insediamento del neo dirigente plenipotenziario, uomo di fiducia di Cellino, sembrava preludere all’imminente esonero di Boscaglia. E invece no. Il tecnico resta in sella. Almeno per ora… Consapevole di poter saltare al primo spiffero di vento. Ma anche no. Ebbene, non sarebbe auspicabile tagliare la testa al toro una volta per tutte? Se il presidente non è soddisfatto di Boscaglia lo cacci e ponga fine a questa tediosa manfrina; diversamente, fiducia a Boscaglia sino al termine della stagione. Poi tanti saluti.

  

Un girone di ritorno a ritmi vertiginosi, scandito da 18 punti in 9 partite (una gara da recuperare con la Pro Vercelli), 5 vittorie consecutive, 3 clean sheet di fila: sono i numeri sbalorditivi del Perugia targato Roberto Breda. Che ha fatto irruzione in zona playoff e non ha alcuna intenzione di fermarsi. Dopo una fase di assestamento, non priva di momenti difficili, il tecnico della Marca ha saputo compattare la squadra e trovare le giuste alchimie. Un lavoro certosino e meticoloso ha prodotto risultati straordinari. Profilo basso, mai sopra le righe, Breda si gode lo stato di grazia della sua creatura. Una macchina da guerra cui non è precluso alcun obiettivo. E con un Diamanti nel motore, pronto ad incantare una tifoseria che comincia a sognare.

 

In principio era Mazzarri, il “piangina” per antonomasia. La Sindrome di Calimero, però, è contagiosa e miete vittime anche in serie B. Nella fattispecie a Cesena. I romagnoli cadono in piena zona Cesarini allo ʿZaccheriaʾ e Castori esplode, lasciando chiaramente intuire di sentirsi defraudato da una serie di (presunti) torti arbitrali. “Non accetto il risultato del campo!”, “Ci sono stati episodi gravissimi non rilevati”, “Cesena merita rispetto!”: sono solo alcune delle bordate lanciate nel movimentato dopo gara all’indirizzo della terna arbitrale da un Castori inviperito. Che ha rincarato la dose, lamentandosi perché al Cesena non è stato ancora assegnato un calcio di rigore, quasi ad evocare chissà quali oscuri ʿcomplottiʾ… Dietrologia un tanto al chilo. La realtà è ben diversa: non c’è nessuna caccia alle streghe contro il Cesena. Se si esclude la mancata concessione, nel finale, di una punizione dal limite per un fallo ai danni di Chiricò, l’arbitro non ha sbagliato nulla. Lui. A differenza dell’allegra difesa ʿcastorizzataʾ, sulla quale preferisco non indugiare… Piuttosto, sono impietosi e inconfutabili i numeri. Che bocciano senz’appello i bianconeri: 30% di possesso palla vs il 70% del Foggia;  8 tiri vs i 16 del Foggia; 3 angoli vs gli 11 del Foggia… Ma di che stiamo parlando? I satanelli hanno vinto meritatamente e legittimamente. Senza rubare nulla. Il fumantino tecnico dei romagnoli però ha deciso che l’artefice principale della sconfitta è l’arbitro, non sente ragioni e sbotta. Ecco allora che la sardonica ironia di chi ha bollato il famigerato tiki-taka, il gioco votato al possesso palla, “roba da spagnoli”, come dire onanistico, si trasforma in un piagnisteo insopportabile. Prassi comune quando si perde e si naviga in acque agitate. Nel microcosmo pallonaro fare le vittime ha una sua logica. Spesso paga. 

 

 

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