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Empoli, "ciaone" alla concorrenza: espugna Chiavari e tenta la fuga. La rivincita di Bollini, il Citta che si suicida e le lacrime di Pochesci

di Marco Lombardi

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Pochesci
Pochesci
© foto di Federico Gaetano

Fra i due litiganti il terzo gode. E così accade che un Empoli cinico sbanchi Chiavari in zona Cesarini, piegando un’indomita Entella, e approfittando del salomonico pareggio maturato al “Benito Stirpe” fra Frosinone e Palermo salga sornione al comando della classifica. I toscani crescono sul piano del gioco, gli automatismi si affinano e i valori di un collettivo costruito per centrare l’immediata risalita in serie A stanno emergendo. Nel mentre, comincia ad intravedersi distintamente l’impronta di mister Vivarini, il cui 3-5-2 è sinonimo di qualità, organizzazione e maniacale cura dei dettagli. La squadra si è mostrata ricettiva, assimilando prontamente i dogmi del nuovo allenatore e cementando un’identità ben precisa, un’anima. Prerogative note a chi l’anno scorso ha avuto modo di apprezzare l’operato del tecnico di Ari al timone di un Latina in balia di una drammatica e per certi versi kafkiana situazione societaria, ma che non ha mai mollato dando filo da torcere a tutti. Con grande dignità. Chiuso l’inciso e tornando all’Empoli, non sorprende trovare gli azzurri in vetta alla classifica: il mercato ha portato in dote certezze (scontato il riferimento ai “califfi” Caputo e Donnarumma, già 13 gol in due) ed elementi arrivati con grandi credenziali (Bennacer, Simic). Giovani prospetti interessanti e senatori di sicuro affidamento completano una miscela che, forgiata da Vivarini, può ottenere grandi risultati.  

L’infuocato epilogo del derby campano premia una Salernitana mai arrendevole, che rimonta un doppio svantaggio e punisce un Avellino presuntuoso e autolesionista. Una vittoria, quella dei granata, che corrobora l’autostima della squadra, riaccende l’entusiasmo e rinsalda la panchina del tanto bistrattato Alberto Bollini, bersaglio di critiche ingenerose e spesso pretestuose. Raramente costruttive. Sì, perché Bollini, tecnico serio e preparato, paga agli occhi di segmenti miopi della stampa il suo essere un “normalizzatore”, poco appariscente e mai sopra le righe. Un tecnico che lavora bene. Sul campo. Non un parolaio, né un venditore di fumo. E i risultati cominciano a dargli ragione, malgrado un budget societario calmierato e un organico certamente non di primissimo piano. La risposta fornita dalla Salernitana al “Partenio”, infatti, ha dimostrato a scanso di equivoci che la squadra rema compatta dalla stessa parte, seguendo i dettami del proprio allenatore.

Quando si dice il “veleno nella coda”… La sconfitta interna incassata al 96’ dal Cittadella ad opera di una Cremonese ridotta in 9 uomini lascia francamente interdetti, basiti, ed è segno tangibile dell’inadeguatezza dei granata a compiere il definitivo salto di qualità. Non è la prima volta che il Citta rovina in casa quello che riesce a conquistare in trasferta. Proprio la mancanza di continuità, questo viaggiare a corrente alternata, è il limite più grande della compagine di Venturato. E continuare a camuffare i difetti endemici della fase difensiva da ingenuità individuali o errori di concentrazione rischia di apparire superficiale e fuorviante. Significa non affrontare di petto un problema che si trascina dalla passata stagione e che compete all’allenatore risolvere. Le ultime prestazioni fornite dalla squadra, peraltro, hanno denunciato altresì la scarsa vena realizzativa degli attaccanti, che faticano a capitalizzare la mole di gioco creata. Ecco, dunque, che diventa indice di maturità all’occorrenza sapersi accontentare, rigettando la convinzione - retaggio di una mentalità che affonda le proprie radici nel trionfale campionato di Lega Pro 2015-16 - che nell’era dei 3 punti il pareggio equivale ad una mezza sconfitta. Non è così. Specie per il morale.

La cartolina della nona giornata di campionato, però, giunge da Terni. Stadio “Liberati”, minuto 42' della ripresa: Adriano Montalto ha appena siglato la rete del 4-2 delle Fere ai danni dello Spezia quando in tribuna Sandro Pochesci, tecnico degli umbri precedentemente espulso dall’arbitro, scoppia in un pianto liberatorio. Sono le lacrime di chi, dopo aver mangiato per anni la polvere dei campi dilettantistici si è finalmente guadagnato l’opportunità della vita in serie B e non vuole deludere. Le lacrime di chi ha fagocitato le recenti critiche piovutegli addosso sfogando tutta l’adrenalina accumulata, certo che la squadra non l’avrebbe tradito. Sono le lacrime di un uomo vero. Un personaggio ruspante ed affascinante, folkloristico e petroliniano. Ostinato, graffiante, mai banale. Un allenatore genuino e immediato. Che si è fatto da solo. Due i tratti distintivi: senso di appartenenza e capacità di immedesimarsi con Terni ed i tifosi della Ternana, di cui interpreta inquietudini e sofferenze, aspettative e speranze. Riportare in alto i colori rossoverdi la sua missione.

 

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