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Il Pescara dura un tempo, il Frosinone rimonta e sfiora l'impresa. Brescia e Venezia sugli scudi: il segreto è la solidità difensiva. Panchine roventi: Grassadonia appeso ad un filo, sotto osservazione anche Stroppa e Castorina

di Marco Lombardi

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© foto di Federico Gaetano

Pescara come Penelope: prima fa e poi disfa. Schizofrenico l’anticipo andato in scena all’Adriatico-Cornacchia fra i biancazzurri ed il Frosinone. Un triplo, rassicurante, vantaggio al termine del primo tempo non è sufficiente alla compagine di Sdengo per centrare la vittoria. Sì, perché i ciociari non mollano di un centimetro, pur beffati a più riprese dai pali dileggianti della porta di Pigliacelli. Che neanche il Toro del Mondo contro l'Ajax nella finale di ritorno di Coppa Uefa del 1992… Tre gol sul groppone e tre pali timbrati, che avrebbero steso anche un bisonte, non scalfiscono le certezze del Frosinone. Di questo Frosinone. Breve inciso: bravo mister Longo a toccare le corde giuste nell’intervallo. E così la seconda frazione di gioco è un monologo giallazzurro. Trascinati da un Ciano sontuoso (catartica la punizione del 3-1) e un Daniel Ciofani implacabile (da antologia la rete del 3-3), i ciociari confezionano una remuntada dai tratti epici. Che non si è tramutata in sorpasso solo a causa di una grossolana topica del direttore di gara, mal coadiuvato dal segnalinee: regolarissimo il gol annullato a Ciofani. Ed è chiaro a tutti che se c’era una squadra che meritava di vincere, questa era il Frosinone. Prova di forza, dunque, dei ciociari, che si confermano formazione di alto lignaggio, matura per centrare l’obiettivo sfumato di un soffio l’anno scorso. Dall’altra parte, sconcerta l’harakiri del Pescara, pressochè  scomparso dal campo nella ripresa. Una compagine, quella del vate boemo, priva di equilibrio, incapace di gestire assennatamente le partite e di “leggere” le situazioni. Con una fase difensiva relegata a mero optional. Quasi ornamentale.  Già 8 le reti al passivo in 3 giornate. Ma potevano essere mezza dozzina in più… C’è tanto da lavorare? Ça va sans dire.

Che la serie B sia il campionato più “democratico” per antonomasia è un fatto. E così può accadere che un Brescia rimaneggiato espugni il “Tardini”, infliggendo alla “corazzata” Parma il primo dispiacere stagionale, e che il neopromosso Venezia violi il “San Nicola”, condannando al secondo stop consecutivo un Bari generoso ma sfortunato,  ancora in pieno rodaggio.  Due vittorie che presentano un denominatore comune: la solidità e l’impermeabilità del pacchetto arretrato. Da un lato le Rondinelle, che  hanno blindato il reparto con gli arrivi dei “califfi” Gastaldello e Meccariello, centrali di grande affidabilità e temperamento, dall’altro i lagunari, che vantano una difesa ancora imbattuta. Di certo il fatto che la compagine di Boscaglia, araldo di un calcio spiccatamente  votato all’offesa, non abbia incassato reti negli ultimi due turni depone per  una maggior cura della fase difensiva, onde ovviare a quelle smagliature che tradizionalmente hanno rappresentato il tallone d’Achille delle formazioni guidate dal tecnico siciliano. Quanto agli arancioneroverdi di Pippo Inzaghi, accusati, secondo i canoni degli  stereotipi più convenzionali, di iperdifensivismo, invito i censori a rivedersi la gara di Cesena dove i lagunari hanno collezionato 4/5 nitide occasioni da rete mantenendo saldamente, per lunghi tratti, il pallino del gioco. A dimostrazione della capacità di coniugare compattezza difensiva e incisività offensiva. E allora, se le squadre forti si costruiscono a partire da dietro, Brescia e Venezia sono a buon punto.

Dopo appena tre giornate di campionato, cominciano a scricchiolare le prime panchine. Delicatissima la posizione di Gianluca Grassadonia a Vercelli: il tracollo interno per mano della Cremonese, con conseguente ultimo posto solitario in classifica a quota 0, impone una seria ed analitica riflessione. La squadra pare smarrita, impotente, addirittura refrattaria alle indicazioni del tecnico ex Paganese. E priva di quella vis pugnandi che rappresenta una componente indispensabile per chi è chiamato ad un campionato di sofferenza. Nel mentre tra i tifosi serpeggia un clima di pessimismo dilagante, la  dirigenza piemontese ha rinnovato la fiducia a Grassadonia. Una fiducia a tempo, legata indissolubilmente ad un repentino cambio di rotta, quanto meno sotto l’aspetto della prestazione, in quel di Brescia. È chiaro che l’ennesimo flop renderebbe indifendibile l’allenatore. Oltre a Grassadonia, sono sotto osservazione anche Stroppa a Foggia e Castorina a Chiavari. Indecorosa la prova dei rossoneri al “Partenio”. Abulici, svuotati, senza mordente, i pugliesi sono stati travolti da un Avellino arrembante ed aggressivo, che ha imperversato con Ardemagni e Morosini: il 5-1 finale è di per sé eloquente.  Meno pesante nelle proporzioni, ma nondimeno bruciante, la sconfitta della Virtus Entella nel derby ligure. Dopo un primo tempo opaco, i Diavoli Neri si scuotono nella ripresa e acciuffano il pareggio; ma non hanno fatto i conti con Marilungo, che in piena zona Cesarini decide la contesa regalando allo Spezia i primi 3 punti. L’Entella spreca, dunque, un’occasione per staccarsi dai bassifondi della classifica. Che recita penultimo posto, seppur in condominio: alle spalle c’è solo l’inguaiatissima Pro Vercelli. Un avvio di campionato deludente e largamente al di sotto delle attese per la società del presidente Gozzi che, ceduto obtorto collo Caputo, ha allestito comunque una squadra di tutto rispetto, certamente meritevole di ben altre posizioni di classifica. 

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