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Calcio in lutto, è morto Giampiero Boniperti: la nota della Juventus

di Marco Lombardi

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Boniperti
Boniperti

Il calcio italiano piange la scomparsa di Giampiero Boniperti, leggenda della Juventus, club a cui ha legato il proprio nome. Aveva 92 anni.

Questa la nota del club bianconero.

ADDIO, PRESIDENTISSIMO!

E’ la notizia che non avremmo mai voluto darvi.

Oggi, 18 giugno 2021, salutiamo per sempre Giampiero Boniperti, che si è spento a Torino, all’età di 92 anni: ne avrebbe compiuti 93 fra pochi giorni, il prossimo 4 luglio.

La commozione che in questo momento tutti noi stiamo provando non ci impedisce di pensare con forza a lui, a tutto ciò che il Presidentissimo è stato e sarà per sempre nella vita della Juventus.

Una figura indelebile, che da oggi si consegna al ricordo, perché sui libri di storia del calcio ci è finita già da tempo.

Perché quando esprimi un pensiero, e quel pensiero diventa parte del DNA della società a cui hai dedicato la vita, vuol dire che il tuo carattere ne è diventato identità e modo di essere. Per sempre.

Giampiero Boniperti, il campione che contribuì a fare scordar presto la guerra ai tifosi bianconeri («con la sua gentilezza e la sua classe prendeva in pugno la Juventus post-bellica, ed assieme ad essa partecipava a ridare luci di speranza per l’avvenire», scrisse Hurrà Juventus nel 1966) ha un curriculum calcistico che tutti conoscono.

Un giorno della primavera del 1946, a diciotto anni non ancora compiuti, partì da Barengo (dove nacque nel 1928) e venne a Torino per sostenere l’usuale provino nella Juventus. Era un calcio di pionieri, romantico e spensierato.

«Palpitava per i colori bianconeri e voleva diventare juventino», riporta il primo profilo sul magazine bianconero; il ragazzo ne avrebbe fatta, di strada. Quasi un anno dopo, al principio di marzo del 1947, Boniperti esordì in Prima Squadra contro il Milan, in un campionato che la Juve chiuse al secondo posto dietro a un imprendibile Torino. L’anno dopo Vittorio Pozzo già lo vestiva d’azzurro, a Vienna, contro l’Austria, dove si distinse inizialmente come ala destra di valore mondiale, poi come interno al fianco di Muccinelli nella Coppa Rimet (1950). Posizione che assunse – mattatore e regista allo stesso tempo – anche alla Juve, progressivamente, a partire dalla seconda metà degli anni ’50. Gli anni dei tre nomi, Boniperti, Charles, Sivori. Tre icone.

Migliore in campo, autore di una doppietta nella mitica partita di Wembley tra l’Inghilterra ed il Resto d’Europa (ed unico italiano al fianco di Nordahl, Vukas, Kubala, Zebec), Boniperti è stato centravanti di razza, dallo scatto possente e dal tiro forte.

Divenne capocannoniere in Serie A nel 1947/48, a neanche 20 anni, con 27 reti segnate. Fu il preludio al suo primo Scudetto (di cinque) con la maglia bianconera indosso, quello del 1950, il suo preferito.

Fu giocatore raffinatissimo, eppure micidiale. Tra Boniperti e il pallone c’era accordo su tutto. Era come se la sfera cercasse lui, e non viceversa, in quei punti del campo che lui solo pareva conoscere. Una volta confessò: «Quando ero più giovanottino, la porta era sempre larga per me ed i gol entravano uno dietro l’altro. Io tiravo ed era gol. Quando divenni adulto come giocatore, quindi più completo, la porta si fece più stretta. Evidentemente, dipese dal fatto che ci tenevo a fare il gol potente, col pallone che parte e non si vede più».

Preferiva essere l’ispiratore ed il regolatore del gioco, l’elemento base, il perno di tutto un congegno, la leva che metteva in moto il meccanismo. Svincolava il gioco dal fatto personale. E così sarebbe stato anche in futuro, quando alla Juve tornò da dirigente.

Chiuse la carriera nel 1961, da Campione d’Italia, a quota 179 reti. Aveva 33 anni, e appese le scarpe al chiodo con un cerimoniale semplice: «Ragazzi, smetto».

Temperamento inflessibile di un galantuomo estroverso in campo, rigorosissimo fuori.

Nel luglio 1971 iniziò per la Juve una seconda Era Boniperti: dopo gli anni da giocatore, quelli al timone del club, questa volta Presidente.

B come Boniperti, B come big. Con lui al timone, la Juve diventerà una grande, grandissima squadra europea e mondiale. Arriveranno Scudetti, sì, ma soprattutto le Coppe, continentali ed intercontinentali. Sedici allori nella bacheca di quella che divenne l’unica squadra ad aver vinto per prima tutte le competizioni UEFA.

Dirigente sorridente, prudente e riservato, è «stato il creatore di un collettivo in campo e fuori, fatto di professionalità, senza divi e senza fenomeni da baraccone. La Juve del lavoro e del sacrificio» (Hurrà Juventus, 1980). La Juve recuperata alla semplicità, fatta a somiglianza del suo Presidente. Una Juve che non voleva dire solo gioventù, ma divenne, una volta e per sempre, sinonimo di vittoria.

In questi ultimi anni è sempre stato vicino alla sua Signora. Il momento forse più toccante dell’inaugurazione dello Stadium è stato proprio quando, quell’8 settembre 2011, si è diretto verso una panchina al centro del campo, al fianco di un’altra leggenda bianconera, Del Piero, l’unico in grado di segnare di più di lui.

Scelse di raccontarci, in quell’occasione, il suo primo incontro con la Juventus. Si emozionò. E ci fece emozionare tutti.

«La mia vita nella Juventus», disse quel “settimino”, come era stato definito dopo aver segnato sette gol in amichevole ed essere stato subito messo sotto contratto dalla società bianconera, «è iniziata il 4 giugno 1946, e dopo 65 anni sono qui per abbracciarvi tutti, farvi i miei auguri e riportare ai giocatori la frase scritta su uno striscione, poco tempo fa. Vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta».

Lassù, ora, c’è un’altra stella nel firmamento bianconero che brilla a mostrarci la rotta: quella di Giampiero Boniperti, che ha speso una vita con la Juventus, per la Juventus, e che ha saputo sempre indicarle la via.

Grazie di tutto. Buon viaggio, Presidentissimo.

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