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La Repubblica: "Arbitri, l’inchiesta travolge Trentalange: proteggeva il procuratore-narcos D’Onofrio”

di Marco Lombardi

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Trentalange
Trentalange

 “Arbitri, l’inchiesta travolge Trentalange: proteggeva il procuratore-narcos D’Onofrio”, titola La Repubblica oggi in edicola. 

La corsa di Alfredo Trentalange è finita. Il terremoto che ha travolto gli arbitri finirà per smantellarne anche il vertice. Gli hanno concesso una settimana di tempo per scegliere cosa fare, poi la Federcalcio chiuderà d’imperio la sua stagione da presidente dell’Associazione italiana arbitri: il commissariamento dell’Aia è diventato un atto inevitabile. Perché le indagini sul caso D’Onofrio, il procuratore degli arbitri arrestato per traffico di stupefacenti, hanno rivelato un quadro persino peggiore di quanto le premesse annunciassero. Un danno mostruoso alla credibilità del sistema arbitrale, oggi scosso da una frattura interna micidiale.

Alla luce degli elementi messi nero su bianco dal Procuratore federale della Federcalcio Giuseppe Chinè nell’avviso di chiusura indagini, emerge chiaramente come Trentalange non abbia fatto nulla, «nessuna iniziativa, neanche la più minimale» per preservare l’Aia dalla vergogna. Non solo, ha rivelato come in più casi abbia avuto responsabilità anche nella condotta di D’Onofrio: un soggetto che avevano cacciato dall’esercito perché si spacciava per medico senza esserlo. «Negligente e inadeguato»  per il presidente della sua Commissione disciplinare, quello per il falso doveva essere un vero e proprio vizio per lui, visto che ha contraffatto persino biglietti del treno mai acquistati per avere i rimborsi dell’Aia. Materiale emerso dagli atti della DDA, acquisendo documenti dell’Aia e ascoltando persone informate.

Ha atteso forse troppo, il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, per risolvere la questione anche da un punto di vista politico: nell’Aia tanti avrebbero voluto da un mese la testa di Trentalange. Il Consiglio federale che segnerà la sorte del capo degli arbitri è stato convocato per il 19 dicembre. Non per attendere la fine dei Mondiali, ma per dare a Trentalange una exit strategy: le dimissioni — anche se lui continua a respingere anche solo l’idea di fare un passo indietro — gli eviterebbero la gogna di essere  buttato fuori dalla sua stessa associazione e qualcuno tra i consiglieri è convinto che con qualche giorno di attesa ci sia modo di farlo ragionare. Con lui, inevitabile la caduta dell’intero consiglio, compreso il vice Baglioni, suo fedelissimo. Un episodio racconta in modo evidente il legame tra Trentalange e D’Onofrio. Il capo degli arbitri ha difeso il suo procuratore-narcos chiedendo al presidente della Commissione disciplinare di non assumere iniziative contro di lui. In pratica, lo ha protetto da possibili conseguenze disciplinari dovute a «negligenza e inadeguatezza».

E questo è forse il fatto più grave, per un presidente: una ingerenza nella giustizia sportiva gravissima che la Procura federale spiega sostenendo che era "evidentemente legato da rapporto personale consolidato". In fondo era stato Trentalange prima a suggerirlo nel 2009 per la Disciplinare, poi a proporlo Procuratore arbitrale, nonostante fosse già ai domiciliari. Senza controllare, senza garantire standard di trasparenza.

Viene da chiedersi: come ha fatto a non porsi domande ovvie? Come ha fatto a non chiedersi perché D'Onofrio non partecipasse alle riunioni - lo hanno visto solo tre volte in un anno e mezzo - nella sede dell'ufficio di procuratore in via Campania a Roma. Nonostante il suo ruolo pretendesse una presenza regolare "tenuto conto della mole di lavoro, 1700 fascicoli l'anno". Lui non c'era, ma i procedimenti andavano avanti. E qualcuno li firmava: "Rosario D'Onofrio", anche se il procuratore sotto indagine "era solito firmarsi D'Onofrio Rosario" [...]. 

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