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Benevento, il pres. Vigorito: "Voglio tornare in Paradiso e restarci"

di Christian Pravatà
Fonte: www.beneventocalcio.club

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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Oreste Vigorito oltre a essere uno degli imprenditori più affermati, innovativi e facoltosi del nostro Paese è anche un appassionato di calcio, innamorato perso del suo Benevento a cui ha perfino regalato il “Sogno Serie A”, partendo dalla C, ma soprattutto certezze per il presente e il futuro. In questi giorni, insieme con i suoi collaboratori, è impegnato a rimodellare la propria squadra ripiombata in B dopo una sola stagione (la prima in A della sua storia) nel calcio d’elite con l’obiettivo di tornare, al più presto, in quel “Paradiso” appena abbandonato non solo per colpe proprie. «Abbiamo imparato tanto nella scorsa stagione. La Serie A per noi, quindi, è stata soprattutto didattica. Certo, abbiamo sofferto, abbiamo pagato i nostri errori, anche di inesperienza, abbiamo sbagliato qualche scelta e alla fine siamo caduti. Ma quell’avventura ci ha fatto crescere come società e come ambiente. Inoltre si è registrato un fenomeno bellissimo, sul piano sociale. C’è stata infatti l’adesione di un intero popolo, quello del Sannio, al nostro progetto, alla nostra società. Un’unione di intenti che è diventata un autentico patrimonio che abbiamo il dovere di non disperdere. E dico una cosa che può sembrare strana: se fossimo rimasti in A forse non saremmo stati beneficiati da questa coesione di popolo. Questa retrocessione, insomma, ci ha reso più forti e... uniti».

Un’avventura difficile, vissuta intensamente.

«Siamo stati promossi, l’anno scorso, perché il lavoro portato avanti con grande sacrificio da parte di tutti era fondato su grande serietà e spirito di servizio. I valori che hanno contraddistinto la nostra cavalcata tra i cadetti abbiamo cercato di trasferirli in A. Volevamo portare avanti la nostra filosofia di fare calcio ma per competere ad alti livelli e resistere, noi siamo un piccolo club, è necessaria la concomitanza positiva di molti fattori, alcuni dei quali indipendenti dalla società».

Inizio deludente, troppi ko. Poi, da gennaio, una crescita costante e alcune imprese, come la vittoria di San Siro sul Milan.

«A gennaio abbiamo ingaggiato uomini navigati, di esperienza, importanti sotto l’aspetto qualitativo e della personalità, ma siamo decollati con un po’ di ritardo. Il lavoro di De Zerbi, tecnico bravissimo a cui auguro ogni bene, ha iniziato presto a produrre frutti, però la squadra ha avuto bisogno di un riassestamento tattico. Prima avevamo compromesso qualche risultato per inesperienza, per timore e, sì, anche per carenze tecniche. Dopo il mercato invernale eravamo migliori, ma qualche elemento era in ritardo di condizione e non aveva i 90’ nelle gambe. Risolti questi problemi siamo partiti, tuttavia per il calendario era tardi. Ma noi non ci siamo mai arresi e abbiamo lottato. E non siamo mai stati aiutati dalla fortuna e neppure da quelli che vengono definiti “episodi”».

Già, anche gli arbitri non sono stati teneri con il Benevento (a Milano contro l’Inter ne fu un esempio... raccapricciante).

«Ma eravamo considerati una matricola e d’altronde... lo eravamo. Però, se guardo gli ultimi anni noto che se 2 neopromosse su 3 cadono subito in B, ci deve essere qualcosa che non funziona e che impedisce alle matricole di competere alla pari con le altre squadre. Credo capiti sono in Italia».

La tendenza però di mantenere l’organico della promozione in A può essere fatale...

«Ma il nostro errore, semmai, è stato un altro. Abbiamo acquistato giocatori di categoria, da A insomma, ma molti, pur avendo qualità, per le loro squadre di appartenenza non erano importanti altrimenti non ce li avrebbero venduti o prestati. E sono arrivati da noi che non eravamo una big. A gennaio si è rimediato con l’ingaggio di elementi di personalità e giovani di prospettiva e importanti. E il rendimento della squadra è lievitato».

E adesso il Benevento ha capito la strategia per competere ad alti livelli...

«Sì, ora andiamo sul sicuro partendo dall’esperienza maturata nel passato. Noi abbiamo centrato il doppio salto dalla C alla A: un’impresa, vero, però difficile da mantenere se non si cambia. L’anno scorso con noi c’erano giocatori che tanto bene hanno fatto in C e in B, ma in A erano in difficoltà. I cambiamenti in corso d’opera non sono stati sufficienti a farci mantenere la categoria: abbiamo capito la lezione. E quest’anno stiamo formando un organico con giocatori solidi, esperti della categoria, e con giovani dal futuro promettente così che se dovesse succedere di ritornare in A, una parte della rosa sarebbe già all’altezza del compito».

Ora per il Benevento c’è da affrontare il campionato cadetto. Una B sconvolta da mille vicissitudini e annosi problemi.

«Nel nostro calcio sta succedendo ciò che era capitato a suo tempo in Italia nel passaggio tra la Monarchia e Repubblica. Stessa confusione, stesse difficoltà. Senza soldi è dura fare le cose. Il nostro calcio è malato, ci sono regole che vanno rispettate ma nel contempo mancano le risorse. A me spiace per ciò che è successo al Bari. Ora non basta più essere una piazza blasonata e una città importante per avere conti sani. Ci vogliono investimenti e risorse per resistere. Pochi introiti, tante spese, è dura andare avanti. Tra l’altro pare che quest’anno la B avrà meno soldi degli altri anni. Non è possibile andare avanti così, guardiamo ciò che succede all’estero. E non è possibile che pochi club di A percepiscano molti milioni e lascino alle altre le briciole. Il sistema calcio non può continuare a reggere in questo modo e se si continua così prepariamoci ad assistere ad altri “fallimenti” in futuro».

Già, ma tra un commissariamento e l’altro, tra fallimenti e penalità e l’attuale “deserto” politico calcistico, pare che nulla cambi...

«Ma il legislatore sportivo e non solo dovrebbe porsi una domanda: il calcio è uno spettacolo o uno sport? Nel primo caso occorrono contributi adeguati a sostenere i “protagonisti-club” nell’altro servirebbero regole precise senza pensare unicamente ai fatturati. Se il calcio è anche un fatto sociale bisogna pensare in senso generale, tutelare l’interesse di tutti, quindi non si può privilegiare il titolo di una società a discapito di altre. Insomma: io non dico che devo essere messo in grado di poter prendere Cristiano Ronaldo, ma almeno un buon giocatore sì».

E certi giocatori pretendono ingaggi di peso...

«Lo so bene. Sarebbe necessario calmierare il mercato. Ora ci sono organizzazioni tra società e procuratori con cui ci si deve confrontare per agganciare un giocatore. Non è semplice trattare con loro. E i parametri zero sono una bella storia. Ci sono procuratori che ti propongono un loro assistito, svincolato, ma pretendono un ingaggio, oltre alle spese, pari al valore del cartellino. Non mi sembra normale, ma facciamo finta di niente. Infine, c’è gente che in Serie A si arricchisce, io ci ho solo rimesso un sacco di soldi».

Torniamo al suo Benevento. I tifosi, anzi, l’intero Sannio spera in una nuova promozione. L’esperienza in A è piaciuta tantissimo al punto che si vorrebbe ripeterla... presto.

«Pure io. Ma il raggiungimento di quel “Paradiso” a cui ambiamo non è cosa semplice. Sarà dura, ci sarà da sudare e da lottare. Ma noi possiamo contare sul sostegno e sull’amore di tutto un popolo. E questo è fondamentale. Inoltre, e ritorno all’inizio, abbiamo imparato dai nostri errori e dalle esperienze fatte, anche negative. Sono fiducioso, insomma. E stavolta se saliamo, lassù ci restiamo perché saremo attrezzati per riuscirci. Sarebbe bello festeggiare a fine campionato l’ennesima impresa». Già, sarebbe davvero bello, per il presidente, festeggiare il ritorno in Serie A come la prima volta nel giugno 2017, allo stadio “Ciro Vigorito”, insieme con gli amatissimi mamma, papà e fratello che in terra non sono più ma che sostengono il loro Oreste e il Benevento, da lassù, dal cielo...

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