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Hellas Verona, il "Bentegodi" è un bunker

di Federico Errante
Fonte: l'arena

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© foto di Alberto Forestieri

Ansia da Bentegodi, si diceva una volta. Troppa pressione, troppa storia attorno a quelle mura. Impossibili da reggere per giocatori dalle spalle esili e dal profilo timido. Verità? Probabilmente solo alibi. Preistoria, per fortuna, anche se da allora non è trascorso molto tempo. La musica adesso è un'altra, gli interpreti anche, le certezze elevate all'ennesima potenza, le alchimie perfette. Grazie alla propria casa il Verona è entrato nella storia. Una sentenza. Dodici vittorie di fila, nessuno come l'Hellas in B negli almanacchi del calcio. Solo il Genoa di Gasperini è arrivato tanto in alto, trascinato da due vecchi amici gialloblù come Adailton e Di Vaio, guarda caso nell'anno in cui quel fragile Verona di Ventura retrocedeva in serie C.

PIKI E JUANITO IMPLACABILI. Dal Brescia al Bari, dopo gli stenti contro la Nocerina, in una cavalcata iniziata il primo giorno di novembre. Dal 21 ottobre il Verona non ha concesso un solo punto al Bentegodi. Trentasei su trentasei, primato spaventoso che trova pochissimi riscontri anche in Europa. Tutto partì dalla stoccata al Brescia di Thomas Pichlmann, terminale implacabile attorno al quale il Verona ha costruito gran parte delle sue fortune casalinghe. Un martello Piki, a segno anche con Crotone, Reggina e Albinoleffe. Quattro su quattro, dopo un inizio silenzioso. O magari cinque su sei, visto che col Modena ci pensarono Lepiller e Gomez in un epilogo che fece tremare lo stadio intero. Già con la Juve Stabia però Pichlmann tornò a timbrare il cartellino, fin quando venne il momento di Gomez. Sette centri al Bentegodi per Juanito, cinque nelle ultime quattro contese con Gubbio, Vicenza, Cittadella e Bari. Talento e opportunismo senza freni, valori aggiunti di un'orchestra che non sbaglia più un colpo.

ULTIMO MINUTO. La forza d'urto del Verona in casa ha trovato finora pochissima opposizione, grazie a quella sicurezza propria delle grandi squadre e il guizzo dell'ultimo istante diventato spesso naturale conseguenza di tanta supremazia e ferocia nell'azzannare l'avversario di turno. È stato così con il Brescia, con il Crotone, con l'Albinoleffe e con il Modena. Con l'Hellas in campo, almeno al Bentegodi, la partita non finisce mai. L'antidoto? Non ce l'ha forse nessuno, almeno in questa categoria.

MEGLIO DI CESARE E MASSIMO. I confronti con il recente passato esaltano ancor di più i numeri del Verona e il lavoro di Mandorlini. Nella stagione del settimo posto dell'Hellas di Ficcadenti la striscia si fermò a cinque vittorie fra Vicenza, Catanzaro, Torino, Venezia e Cesena. Sei anni prima, nel 1999, l'Hellas di Prandelli volato in A si arrestò sulla stessa soglia dopo aver battuto fra la sesta e la tredicesima Reggina, Ravenna, Atalanta, Andria e Cesena. Mandorlini raccoglierà di più, il trend dice questo senza troppe obiezioni possibili. Perchè Prandelli non è andato al di là di quota 43, Ficcadenti si è bloccato a 41, questo Hellas è già a 42 ma con i jolly di Empoli, Livorno e Varese ancora da giocarsi. Tre biglietti per la A. L'ansia da Bentegodi, ora, ce l'hanno gli altri.

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